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Mio Figlio Contro Tutti

Mio figlio contro tutti

Benvenuti tra i miei angoli smussati.

C’è un paesello chiamato Italia, o forse mondo, dove una delle pratiche più diffuse è quella di fare confronti. È una gara a chi fa più cose, a chi le fa meglio – anche se il meglio spesso è soggettivo – a chi raggiunge determinati risultati coi quali la società ti classifica.

La prassi di classificare le persone, in base alle loro capacità, è un insano modo di vivere, a mio avviso. Perché fa male. Soprattutto perché tira in ballo i sentimenti. In particolare, quando questa spiacevole abitudine colpisce i bambini.

Bambini che diventano ragazzi, ragazzi che diventano adulti. Complessati, frustrati, che si convincono di non essere all’altezza di un ruolo (fittizio), deciso a priori da qualcun altro. A essere onesti, c’è chi trae giovamento da tutto questo ed è in grado di reagire trasformando le delusioni in stimoli; per raggiungere risultati straordinari coi quali dimostrare, a se stessi in primis e poi agli altri, che chi li ha giudicati, in passato, ha sbagliato. Poi c’è chi, e temo sia la maggior parte, non riesce a reagire, e si china colpito dalla convinzione di valere poco o nulla. In ginocchio, si piega lentamente fino a strisciare, e pensa che scomparire non solo sia la strada migliore, ma l’unica percorribile.
Infine, c’è chi è in grado di raggiungere risultati eccellenti, ma subisce un improvviso crollo emotivo dopo avere camminato a lungo su un sottile filo che alla fine non ha retto e si è spezzato. Non a caso, soprattutto tra gli sportivi, la figura del mental coach è sempre più diffusa, e offre un supporto che si rivela decisivo.

Il bisogno di confrontare i propri figli con quelli degli altri denota un’insoddisfazione di base dei genitori che vogliono riscattarsi agli occhi della società; occhi eccessivamente grandi che vigilano e giudicano, e che spesso mettono in croce piccole creature che meriterebbero di essere felici e spensierate anziché essere costrette a crescere in fretta per non deludere i genitori. Innocenti bambini martellati dalla frase ricorrente: “devi essere forte, non devi piangere”. Ogni lacrima non versata equivale a un sentimento represso che spinge per venire a galla ma che trova un portone chiuso che gli sbarra la strada. E pensare che vi vantate perché i vostri figli non piangono. Il bisogno di sentirsi i migliori – ma migliori di chi? – vi acceca, vi fa perdere di vista i veri valori, e vi porta a fare del male (inconsapevolmente, spero) a ciò che possedete di più prezioso; ci avete mai pensato? Avete mai riflettuto sul fatto che si possa vivere, anche meglio, senza confrontarsi con gli altri? Ogni individuo è un concentrato di emozioni, pensieri e idee, e il confronto non fa altro che togliere fette di identità perché porta a un livellamento delle persone.

Per la società siamo fotocopie. Gli scrittori sono fotocopie, così come i cantanti, e persino gli sportivi: categorie che fanno giornalmente i conti con le classifiche, di vendita o stilate in base alle prestazioni. E chi esce dagli schemi è considerato pazzo, perché è un’etichetta con la quale si cerca di farlo desistere e riportarlo sulla retta via: quella calpestata da milioni di fotocopie che puntano verso lo stesso traguardo.

Chi ha una personalità definita non teme il confronto, semplicemente perché non ha alcun interesse a farlo; viceversa, chi una personalità definita ancora non ce l’ha deve temere il confronto perché potrebbe portare a conseguenze che potrebbero trasformarsi in danni irreparabili.

Quando si è bambini è fondamentale essere guidati senza essere messi di continuo in competizione con gli altri. Ciascuno è unico, speciale e irripetibile, e questa convinzione andrebbe tatuata sul cuore, oltre che nella mente; capito cari genitori?

 

E voi cosa ne pensate? Scrivetelo nei commenti.

Un caro saluto smussatori di angoli.

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Questo articolo ha 2 commenti
  1. Parole veramente profonde, Marco e terribilmente reali. Hai ragione. Troppe volte ho visto genitori “affossare” i propri figli sotto il peso delle loro aspettative e dei loro confronti. Un figlio non è l’opportunità di riscattarsi bensì una vita di cui si è solo marginalmente custodi e che però non ti appartiene. Bisogna stare molto attenti perché nella maggior parte dei casi il confronto non aiuta a migliorare bensì solo a sentirsi “diversi” e soli.

    Bellissimo articolo come sempre!

    Giulia

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